mercoledì 2 gennaio 2013

La sindrome da Golden Age

Quanti di noi nel corso delle nostre vite si sono posti la seguente domanda: "Sarebbe stato meglio vivere in un'epoca diversa da quella contemporanea?". In mente ognuno avrà sicuramente formulato una risposta, per molti negativa e per altri affermativa.

Se fate parte dei nostalgici di epoche mai vissute, sappiate che a detta di alcuni soffrite, come il sottoscritto, della "Sindrome da Golden Age", dove la propria mente tende a trasporsi in un altro tempo, idealmente migliore, per fuggire da una realtà un po troppo avara di stimoli.

A sostegno delle diverse parti ci sono varie teorie. Può anche essere vero che questo tempo sia carente di stimoli, ma è appurato che la facilità con la quale si può dare sfogo alla propria creatività oggi, è ineguagliato in qualsiasi lasso temporale. Vero è anche che di Elvis ce ne stato uno, e questo vale per i vari Freddie Mercury, Frank Sinatra o Jim Morrison.

Se parliamo di arte in senso lato, argomento al sottoscritto molto caro, è innegabile che la spinta vitale del passato, ad oggi, è andata lentamente scemando.
Alcuni sostengono che gli idoli del passato, un tempo venivano etichettati come commerciali. In questo caso i Beatles o i Rolling Stones potrebbero essere paragonati ad oggi con Rihanna o Robbie Williams. La cosa per quanto paradossale potrebbe avere un senso, al di là dei gusti e dei sound che variano di tendenza in base all'impeto culturale del momento.

Detto questo è ovvio che ogni persona si riconosce meglio in un tempo piuttosto che un altro, per attitudini personali, idee, passioni, modi di vivere. Fatto sta che tutti viviamo in un presente e che in questo mondo ci possiamo portare feticci dal passato, ma sempre restando a contatto con la realtà. Perché se si vuole iniziare a vivere in un'epoca piena di stimoli, bisogna trovare un senso all'oggi e non al passato.

Le più grandi civiltà, che hanno diffuso arte, usi e costumi, da quella romana, passando per quella greca, arrivando al Rinascimento italiano, sono sempre state mosse da poteri e filosofie positive, che ricercavano nel mondo e nella vita un senso, e lo trovavano attraverso Dio, la natura e l'amore, omaggiandoli con opere d'arte rimaste impresse nella storia.

Finita la mia piccola riflessione personale, volevo segnalarvi il film "Midnight in Paris" di Woody Allen.
Non avevo mai visto nessun film di questo regista/attore, ma questo mi ha colpito in modo positivo.
Racconta la storia di uno scrittore, che nel 2011 durante una crisi creativa, parte con la fidanzata e i futuri suoceri, in direzione Parigi. Lì, dopo una cena in compagnia di amici decide di vagare per la città, quando, allo scoccare della mezzanotte, si ritrova a passare la serata con i migliori scrittori e artisti degli anni 20', personaggi alla quale si è sempre ispirato, da Heminghway passando per Vang Gogh, Picasso e Fitzgerald.


In questo passato si innamora di una giovane ragazza e parlando con lei scoprirà che per questa, la vera "Golden Age", non è quella che sta vivendo, ma bensì la Belle Epoque, iniziata troppo tempo prima perché lei la potesse godere appieno. Da li parte la riflessione del protagonista, che arriva al punto di capire che un'epoca d'oro esiste per tutti noi, ma non sempre chi ci viveva era consapevole di essersi trovato in una stagione del tempo così straordinaria, forse proprio perché è così pregevole solo per chi non l'ha realmente vissuta. Chiosa finale, un po banale ma molto romantica: il protagonista abbandona la moglie isterica che lo tradiva e resta a vivere nella Parigi contemporanea, incontrando alla fine del film una donna che presumibilmente passerà molto tempo al suo fianco.

Anche se vi ho rivelatato il finale (stasera mi andava così), guardatelo perché merita.
Altrimenti ascoltatevi "Meglio Prima" di J-Ax, un po più terra terra ma molto efficace sull'argomento.

Goodnight boys and girls.

sabato 15 dicembre 2012

Bill Hicks promo

Oggi pomeriggio mi sono cimentato nella creazione di un promo dedicato a Bill Hicks, grande comico americano, purtroppo poco conosciuto dalla gente e molto copiato dagli artisti d'oltreoceano. Non voglio raccontare la sua storia o descrivere la sua comicità, forse scriverò un post al riguardo più avanti. Per adesso ho deciso di montare questo video, con un banalissimo Windows Movie Maker (in mancanza d'altro), per far conoscere questo personaggio a chi ancora non ha potuto farsi due risate e riflettere guardando i suoi spettacoli.

Come colonna sonora del promo ho messo "When the man comes around" di Johnny Cash, canzone sul tema dell'Apocalisse.. Calzava a pennello proprio perché come nel recitato all'inizio della canzone, anche Hicks nel suo spettacolo "Revelations" si ispira a questo tema religioso per gli argomenti trattati e per l'entrata in scena usa un "withe horses", come uno dei cavalieri della fine del mondo. Godetevelo e se vi piace fatelo girare. I'ts just a ride, see you soon!


lunedì 3 dicembre 2012

Testo e traduzione di "I fall apart" di Rory Gallagher

Chi ha letto i post precedenti sa quanta emozione provo nei confronti delle canzoni di Rory Gallagher.
Mi piace pubblicare i suoi testi, per far conoscere questo artista e il suo operato, unico nel genere.
In questo post pubblico la canzone, il testo e la traduzione di "I Fall Apart", struggente pezzo del chitarrista irlandese.

See you soon!



Like a cat that’s playing with a ball of twine
That you call my heart
Oh but baby, is it so hard to tell the two apart?
And so slowly you unwind me until I fall apart
I’m only living for the hour
That I see your face
And when that happens, I don’t want to be no other place
Till the end of time, you’ll be on my mind
I don’t mind waiting for your love
For of time I’ve got plenty of
Rain or shine, please bring out your love
Make it shine like the stars above
I’m only living for the moment
When I hear your voice
Oh I’m waiting, I don’t have any choice
And the day is long
So won’t you come to where you should be?
Like a cat that’s playing with a ball of twine
That you call my heart
Baby is it so hard to tell the two apart?
And so slowly you unwind it until I fall apart
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TRADUZIONE
Come un gatto che gioca con un gomitolo di lana
Che per te è il mio cuore
Oh piccola, è così difficile distinguere le due cose?
E lentamente mi srotoli fino ad andare a pezzi
Vivo solo per il momento
In cui vedo il tuo volto
E quando accade, non vorrei essere da nessun’altra parte
Per sempre ti penserò
Non mi interessa aspettare che t’innamori
Perché il tempo non mi manca
Capiti quel che capiti, per favore dimostrami il tuo amore
Fallo splendere come le stelle in cielo
Vivo solo per il momento
In cui sento la tua voce
Oh sto aspettando, non ho altra scelta
E le giornate sono lunghe
Allora perché non vieni dove dovresti essere?
Come un gatto che gioca con un gomitolo di lana
Che per te è il mio cuore
Oh piccola, è così difficile distinguere le due cose?
E lentamente mi srotoli fino ad andare a pezzi
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Si ringrazia il wordpress "Rocktube" per il materiale.

giovedì 1 novembre 2012

Picnic ad Hanging Rock e la scomparsa delle tre studentesse

Eccoci ritrovati per raccontare qualcosa di nuovo su questo blog troppo stesso trascurato.

Oggi oltre ad aggiornare la grafica in stile "Breaking Bad", famoso telefilm americano (se non lo conoscete guardatelo), volevo scrivere due righe su un film, che appartiene a quel filone che per tradizione lascia a bocca aperta lo spettatore alla fine della visione, non tanto per i colpi di scena o per gli effetti speciali, tanto per il fascino misterioso della trama. Dopo "Donnie Darko", vorrei parlare di "Picnic ad Hanging Rock". 

Iniziamo col dire che è stato il primo film australiano ad arrivare alla ribalta internazionale, grazie all'attenta regia di Peter Weir,  coadiuvata da Joan Lindsay, fautrice dell'omonimo racconto. Lo stesso regista mantiene fede alle scene presenti nel libro, tagliando solo alcune vicende non fondamentali e forse anche noiose per un pubblico agitato come quello cinematografico. Piccolo appunto personale: vorrei premettere da subito che secondo me questo è il film migliore di Weir insieme a "The Truman Show", altro capolavoro del regista. L'Attimo fuggente, confronto a questi, non lo considero nemmeno.

Ritornando a noi.


La trama è apparentemente semplice: ci troviamo a qualche decina di chilometri fuori Melbourne, in Australia, nel collegio Appleyard per giovani donne inglesi. L'anno è il 1900, giorno di San Valentino. La direttrice e le insegnanti decidono di organizzare un elegantissimo picnic ai piedi di un grosso complesso roccioso della zona, chiamato "Hanging Rock". Lo spostamento con carrozza conduce tutte le studentesse in quel luogo e, mentre tutti si riposano dopo il viaggio e si godono la mattina soleggiata, quattro ragazze chiedono il permesso di avvicinarsi di più alle rocce, per poterle vedere meglio e osservare dall'altro il panorama. Miranda, Irma, Marion e Edith iniziano a camminare su scoscesi sentieri. Questa fase del film è quella che preferisco. Il flauto di pan dell'artista Gheorghe Zamfir accompagna queste scene incredibilmente suggestive, dove la paura e il timore di salire troppo in alto della paffuta Irma, si mischia con l'estasi e la tranquillità espressa dai volti e dai movimenti delle altre tre ragazze, che scalano sentieri stretti fra pinnacoli di roccia grigia con grazia ed eleganza. Ad ogni cambio di inquadratura, queste quattro studentesse sembrano sparire nel nulla, salvo poi rispuntare da un tunnel di roccia o da un passaggio particolarmente stretto. La tranquilla sequenza viene spezzata in modo violento dall'urlo di terrore di Irma, che si dirige a tutta velocità verso la zona del picnic dove erano restate a riposarsi le professoresse e le altre collegiali. 

Questa, in grave stato di shock, riferisce di non ricordare nulla di ciò che è avvenuto sulla rocca, ma resta il fatto che le altre tre ragazze: Marion, Edith e Miranda, sono scomparse nel nulla. Da quel momento in poi inizieranno le ricerche spasmodiche da parte di polizia e civili, alla ricerca di un indizio e di un segno che non troveranno mai. Anche un giovane rampollo inglese, abbagliato dalla bellezza di Miranda, scrutata mentre questa compieva la sua ascesa alla rocca, decide di scalare la montagna, alla ricerca di qualche certezza o verità.
Come faccio sempre con le recensioni cinematografiche, mi fermo qui, non voglio spoilerare o rivelare altro della trama perché questo è  più un consiglio alla visione che una chiave di lettura alla pellicola. Volevo però , per quelli che leggeranno il post e hanno già visto il film e magari non hanno capito il nesso logico tra gli avvenimenti, dare qualche possibile soluzione all'intricato enigma che tutt'oggi affascina amanti del cinema e della letteratura.


Il film ha un'ambientazione precisa, l'Australia. Terra sacra per gli aborigeni, che spesso individuavano nelle montagne e nei complessi rocciosi le dimore degli dei. Come per esempio Ayers Rock, in aborigeno Uluru, venerata e protagonista di leggende e di antichi riti nativi, segnata da dipinti sacri e da impronte lasciate da uomini di ogni epoca. Nel film questa chiave di lettura è molto importante, da vedere come la sacralità della montagna. Com'è importante la colonna sonora, suonata non a caso con il flauto di pan, fondamentale in alcuni passaggi, fantastica in altri e davvero inquietante in più occasioni. In questo film si mischiano anche gli estremi di una società apparentemente perfetta ma che spesso cela dietro l'eleganza, ipocrisia e violenza psicologica. La purezza di giovani ragazze, intrappolate in questa prigione a pagamento, contrapposta al grigiore e alla cattiveria di una direttrice senza scrupoli, corrotta dalla vita e dai tradimenti, che riversa la sua rabbia su giovani innocenti. 

E' un film dai mille risvolti e dalle decine di interpretazioni. Io vi ho voluto dare qualche spunto, personale ma anche oggettivo, spero che chi guarderà la pellicola per la prima volta ne resti soddisfatto e tenti di capire, e spero che, chi l'ha già vista, possa farsi un quadro più chiaro della situazione. Per qualsiasi domanda commenti o mail!

Buona visione boys and girls!


sabato 15 settembre 2012

Tutte le sfumature del grunge e l'esperienza italiana

La Space Needle
Da appassionato, non posso far altro che esporre alcune mie idee sull'argomento, anche per cercare di non confondersi e scambiare per grunge tutto quello che può assomigliarli nel sound. Troppo spesso questo genere viene calpestato da band postume che con i loro motivetti orecchiabili e testi banali, violentano letteralmente l'essenza nata e cresciuta in quel di Seattle. Ma il grunge non è circoscrivibile ad un luogo ben definito. Quando si parla di questo vario genere, vengono in mente i gruppi più famosi, come i Nirvana di Kurt Cobain, i Pearl Jam di Eddie Vedder e gli Alice in Chains di Laney Staley. Anche i Soundgarden sono spesso portati alla ribalta, ma in misura minore. 

I gruppi sopra citati, che vengono universalmente riconosciuti come grunge, hanno differenze sostanziali fra di loro, pur mantenendo un filo conduttore, quello riguardante le tematiche trattate: malessere, violenza, smarrimento. I Nirvana appartengono ad un filone più punk, che affonda le radici in quel mondo hardcore, distrutto dal benessere materiale, dalla disco dance e dalla "bella vita" degli anni 80, mentre i Pearl Jam, gruppo più "moderato" sia nel sound che nelle tematiche, è stato molto più propenso a pescare in quel mondo rock che è riuscito a sopravvivere ad ogni cambiamento, fino ad arrivare alla devastante tendenza "AOR" dei Toto, dei Journey e di molti altri.

Una parola in più meritano gli Alice in Chains, anche perché dei Nirvana ho ampiamente parlato in un post a loro dedicato e dei Pearl Jam parlerò prossimamente. Questo gruppo si può definire il più "estremo" tra tutti quelli che hanno creato e portato avanti il genere fin dagli albori. Il sound è duro, derivato dall'heavy metal, i testi sicuramente tra i più rocciosi ed introspettivi, la morte e la distruzione sono spesso al centro delle canzoni, argomenti che hanno trovato la fertilità ideale in un periodo buio per le "new generation", dove disoccupazione e droga facevano da padrone in ogni angolo delle più grandi città americane ed europee. In questo caso è da sottolineare che, a differenza degli altri gruppi, che provavano quasi disprezzo per il genere glam metal, il cantante degli Alice in Chains, Laney Staley, proveniva proprio da quell'ambiente, facendo in precedenza cover dei Motley Crue, dei Van Halen e degli WASP. Tramutandosi in punto di unione fra i due generi si è creato un qualcosa di unico, sia stilisticamente, per le scene sul palco, ma anche per quanto riguarda il sound. 

Gli Alice In Chains
Personalmente detesto le esagerazioni glam e hair, così come sopporto a malapena il genere. Infatti anche la presenza scenica dei primi live degli Alice In Chains non mi ha fatto impazzire, pur mi sia piaciuto enormemente il suono degli LP successivi, partendo dallo storico "Jar of Flies", entrato di diritto nella storia della musica, per quell'atmosfera pesante, carica d'ansia e di disperazione che forse si riesce ad eguagliare solamente ascoltando "Something in the way" dei Nirvana. Purtroppo questa tendenza estrema della band ha portato alla morte prematura del cantante Staley e del bassista Mike Starr, entrambi a causa della dipendenza da eroina. Ci sono comunque anche altri gruppi, meno conosciuti, come i Gruntruck, adatti per gli amanti del suono grezzo e sporco, che vale la pena di ascoltare per avere chiaro il quadro del sound di Seattle.

Cambiamo in parte argomento. All'inizio di questo post ho scritto che il grunge non è circoscrivibile in un solo luogo, anche se indubbiamente l'humus culturale americano ha permesso la nascita di questa tendenza. Un amico mi ha fatto notare che anche in Italia ci sono stati gruppi che hanno esordito o si sono confermati con tendenze post punk che potrebbero richiamare il genere. Due esempi sono i Marlene Kuntz, con il loro primo album "Catartica" e i CSI con "Ko de mondo". I primi esordiscono con un album che pur avendo carattestistiche new wave e mantenendo una vena cantautoriale tipica dei gruppi italiani, ha una sonorità decisamente più dura, che fa riferimento appunto ad un retroterra culturale prettamente punk. Ascoltare "Lieve", per credere, canzone di maggiore successo dell'album e autentico capolavoro della musica italiana anni 90'. 

Qualcuno azzarda nel dire che se i Marlene Kuntz fossero stati inglesi o americani, sarebbero passati alla ribalta mondiale in poco tempo. Forse hanno ragione, ma c'è da considerare gli evidenti limiti della lingua italiana in quanto a musicalità e alcuni schemi prettamente mediterranei, come la ricerca del concetto sempre attraverso il testo, tralasciando spesso le melodie. Questi sono comunque altri discorsi. Arriviamo ai CSI, nati dalle ceneri dei CCCP che già in passato avevano manifestato con il loro post punk/new wave delle tendenze davvero uniche ed originali. Ad ora mi viene in mente la canzone "Io sto bene", dove Ferretti alla voce si interroga se quello che facciamo tutti i giorni sia effettivamente per migliorare la qualità della nostra vita, o che sia solo una formalità, magari indotta, per mantenere alcuni status. "Ko de mondo" è la storpiatura del nome di un piccolo paese emiliano, terra di provenienza di Ferretti e di Massimo Zamboni. Qui, oltre alle sonorità, si trattano argomenti delicati, come la fine di un mondo, l'aver messo al tappeto non solo l'Unione Sovietica, dopo la caduta del muro di Berlino, ma anche l'idea di Europa stessa, in un gioco di idee geopolitiche e domande esistenziali. 

Sicuramente questo tipo di "grunge", rientra molto di più nei canoni post punk, ma è interessante vedere come questi due album siano stati i primi LP di due gruppi che avrebbero caratterizzato la scena alternativa italiana per un decennio, proprio nello stesso periodo in cui, dall'altra parte dell'oceano atlantico, moriva Kurt Cobain, anno 1994. Quindi, quando qualcuno obbietterà che il grunge ha prodotto poco, potete sbattergli in faccia la realtà di una generazione, che partendo dalla fine degli anni 80', arrivando alla metà dei 90', ha sfornato capolavori e modi di fare musica prendendo un po dal passato, ma affondando appieno le proprie radici nel presente. Magari non tutti uniformati sotto una stilistica ben precisa, ma con riferimenti universali adatti ad ogni luogo dove ci fosse qualcosa da rimpiangere.

giovedì 13 settembre 2012

Il blog cambia vestito!

Ero stufo di vedere quelle due farfalle enormi ogni volta aprissi il blog per leggere o scrivere. Avevano un significato, magari in pochi lo avranno capito, per questo mi metterò a spiegarlo in questo post d'addio per quel vecchio vestito che verrà riposto in armadio, destinato ad essere ricoperto di polvere.

Guardate che baffoni importanti!

La farfalla in questione, che campeggiava sul blog ma anche sulla pagina facebook di questo portale, era una elaborazione della medesima che aveva stampato sulla maglia Nick Mason, storico batterista dei Pink Floyd, al live di Pompei. Quel lepidottero era diventato per un lungo periodo, simbolo della psichedelia e dello space rock, così come le canzoni eseguite in quel live, una su tutte "Set the control for the heart of the sun", capolavoro ancestrale e tribale della band inglese.

Ora siamo passati ad un abito molto più formale, i più maligni penseranno che il blog si sia vestito a lutto, ma fortunatamente non è così. I lettori più attenti avranno sicuramente notato che l'immagine d'intestazione è tratta dal film di David Lynch "Strade Perdute", uno dei tanti capolavori del genio visionario dalla fluente chioma bianca. Detto questo, vi avviso che ci potranno essere ulteriori cambiamenti, vista la volubilità del sottoscritto. Per il resto vi rimando al post precedente, quello su Donnie Darko, nello sciagurato caso non l'aveste ancora letto.

Good luck!

lunedì 10 settembre 2012

Donnie Darko, una fessura di luce nel cinema delle banalità

Era già da un mesetto che non scrivevo sul blog, sfortunatamente non sono riuscito a tenerlo curato, per la scarsa possibilità che ho avuto in questo periodo di girare per concerti o ad eventi simili. Un po per il caldo, un po per la carenza di "pecunia" e così via.

Ritorno a "battere a macchina" per scrivere le mie impressioni sul film Donnie Darko, che avevo già visto da piccolo ma che ho avuto la fortuna di rivedere ieri sera. In un periodo dove tutti parlano di colossal come Batman, o delle solite storielle da supereroi da pensionare come in "Avengers", torna in auge nel mio personale olimpo cinematografico il film di Richard Kelly, che lo ha sceneggiato a 29 anni e che è arrivato alla ribalta mondiale grazie al successo "underground" di questa pellicola, scartata dal pubblico "bene" e rilanciata sul web attraverso un fitto passaparola virtuale.


Il film inizia con una scena che da sola potrebbe appagare gli occhi di qualsiasi appassionato, più o meno esperto di cinema. Una strada di collina, sotto ad essa un paesaggio albeggiante. In mezzo alla strada il corpo di un ragazzo, poco distante la sua bicicletta. Lui si sveglia lentamente, con un mezzo sorriso stampato sulla bocca, avvolto dalle tenebre matutine, inforca il sellino e si getta velocemente lungo una ripida discesa avvolta dalle fronde degli alberi. Donnie Darko.

Donnie è un ragazzo, va al liceo, vive nell'anno 1988, che vede protagonisti Bush e Dukakis alla corsa per la presidenza USA. Fa parte di una famiglia medio borghese, agiata, che tenta di mascherare i problemi sotto una lieve coltre di retorica. Lui deve far uso di psicofarmaci, essendo affetto da un disturbo schizofrenico-paranoico. Il suo migliore amico, infatti, è un coniglio alto un metro ottanta, che vede solo lui e che gli impartisce ordini. Questo appare con cadenza apparentemente casuale dinnanzi a lui. L"allucinazione" gli permetterà di salvarsi la vita. Infatti, mentre lui riposa in un campo da golf, spinto a dirigersi in quel luogo, proprio sopra camera sua cade la fusoliera di un aereo che poi risulterà essere scomparso nel nulla. Grazie a questo miracolo Donnie ha la possibilità di continuare a vivere la sua vita, fra ipocrisie, disagi esistenziali, la ricerca di Dio, dell'amore e del tempo perduto. Mi fermo qui con il racconto del film, non ho intenzione di "spoilerare" e di impedire a chi non l'abbia già fatto, di godersi appieno questo capolavoro del cinema contemporaneo.

Se siete stufi delle solite commedie adolescenziali, degli ormai prevedibili horror o delle saghe di fantascienza che non stupiscono più nessuno, questo è il film che fa per voi. Qualcuno ha scritto che "Donnie Darko" è come se "David Lynch prendesse in ostaggio il cast e la sceneggiatura di American Pie". Ovviamente è molto di più, ma questa è comunque una frase divertente che rende l'idea. Se volete confondere la vostra mente, cercare una soluzione ad un intrigo esistenziale, Donnie Darko potrà soddisfare la vostra voglia di emozioni e di riflessioni.


E' un film difficile da catalogare in un genere. Non esiste una realtà ben definita, pertanto la fantasia di chi guarda è indispensabile per poter avere un'opinione alla fine del lungometraggio. Non fraintendetemi, non è una sega mentale che ti lascia senza alcun tipo di soluzione, solo per il gusto di mettere dubbi irrisolvibili. Donnie Darko è una pellicola che si risponde da sola, non c'è bisogno di andare a cercare su internet possibili soluzioni per arrivare alla comprensione della trama. E' una sfida con se stessi, che ti porta a guardare il film più volte, per captare ogni singolo dettaglio, ogni singola parola, mai fuori luogo.

E' come se il regista avesse creato un film su due diversi piani narrativi, uno che ci viene proposto davanti a i nostri occhi e l'altro che è tutto da immaginare, completamente libero da ogni costrizione di plot e che comunque venga pensato non va ad interferire con quello che è il significato ultimo del film. Questo lo capiranno alla fine della proiezione le persone più attente, mentre la chiave di lettura è molto intricata ma raggiungibile con una logicità ordinata.

Qui si parla di ribellione, di amore adolescenziale, di sogni eterni che poi vanno a sfumare nell'età adulta e che invece dovrebbero accompagnare l'uomo per tutto il corso della sua vita. Si passa dall'ipocrisia moralista e bigotta, alla ricerca di Dio, arrivando poi al potere della mente e dello spazio tempo. E' una chimera perfetta, dove si analizza il socio politico e l'esistenziale senza cadere nella retorica, senza guardare solo il "bianco" o il "nero" , ma analizzando tutte le sfumature, rifiutando l'idea borghese di omologazione e conformismo.


C'è la condanna del moralismo ultra-cattolico, ma non la condanna di Dio, anzi, la ricerca dello Stesso viene quasi vista come una vocazione. Non c'è nemmeno il rifiuto del dolore, della passione, è un film intriso appieno nelle grandi domande della vita e riesce a dare una chiave di lettura unica ed originale nel suo genere.

Donnie Darko o si ama o si odia, il secondo caso, solitamente, accade a causa della difficoltà di comprendere tutte le sfaccettature della trama. Se vi piace spaventarvi per lo spiritello che esce da dietro una porta, se vi piacciono gli eventi risolutori alla "I mercenari" questo è un film che non fa per voi. Non finirete di vederlo dicendo "minchia che figata", al massimo vi passerete una mano fra i capelli per riuscire a capire quello che avete appena guardato. Sicuramente uno dei film indipendenti e non, più belli di sempre.